Nucara al Forum de "Lo Stato Perfetto" Quanta superficialità per il 150enario Mazzini, l’onore postumo peggio delle sconfitte Mazzini ed il centocinquantenario dell’Unità d’Italia: il segretario del Pri Francesco Nucara ha scritto il seguente intervento per il forum web "Lo Stato Perfetto" di Francesco Nucara In occasione della ricorrenza del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, la personalità più discussa, dagli storici ai registi cinematografici, è sicuramente quella di Giuseppe Mazzini. La ragione di questa attenzione, e della eterogeneità dei giudizi su di lui, nasce dalla particolare complessità umana di un protagonista del moto risorgimentale, che non è stato solo un uomo politico, ma anche un pensatore di immensa caratura morale. La biografia di Giovanni Belardelli, "Mazzini" (Mulino editore), evidenzia bene le problematicità dell’azione mazziniana e anche le controversie che ha suscitato all’interno dello stesso movimento repubblicano. Mentre il film di prossima uscita di Mario Martone, "Noi credevamo", ha già suscitato polemiche. Martone, in una conferenza stampa, ha detto che Mazzini dovrebbe essere considerato un "terrorista", "un Osama Bin Laden" dei giorni nostri. Martone ha poca familiarità con l’opera di Mazzini, che, come tutti dovrebbero sapere, con il terrorismo non ha avuto niente a che vedere. Giuseppe Mazzini ha in verità teorizzato il tirannicidio e, quando un suo seguace, Felice Orsini, progettò un attentato a Napoleone III, egli ne prese le distanze, se non altro perché non tollerava di mettere a rischio delle vittime innocenti. Più che Felice Orsini, bisognerebbe considerare mazziniano Bill Clinton, il quale, potendo eliminare fisicamente Bin Laden nel 1996, vi rinunciò: il fondatore di al Quaeda era stato individuato in un ristorante, e colpirlo avrebbe comportato la sicura morte di molti civili innocenti. Giuseppe Mazzini dovette sempre confrontarsi con il discredito, soprattutto negli ambienti democratici, visto che le polizie dei regimi probabilmente ne sopravvalutavano l’azione cospirativa. Karl Marx stesso lo sbeffeggiava con il nomignolo "Teopompo". E "Il Manifesto", scritto con Engels, edito a Londra nel 1848, non è altro che un testo per confutare "I pensieri sulla democrazia". Anche una grande personalità letteraria come Thomas Mann ne avrebbe avversato gli aspetti umanistici e umanitari, senza accorgersi della barbarie in cui stava precipitando la Germania. In Italia, il quotidiano del partito fascista, appena insediata la repubblica di Salò, titolava: "Torna Mazzini!". Sarà un caso, ma nell’immediato secondo dopoguerra Mazzini venne ancora una volta discriminato: Croce lo riteneva "meno moderno" di Marx e Togliatti, definendolo direttamente un antesignano del fascismo. Ancora oggi c’è chi sostiene che Mazzini avesse una mentalità imperialista, degna della Roma antica, come gli studiosi francesi per esempio, omettendo che la Francia l’impero coloniale lo creò sul serio. E poi ancora leggiamo di storici inglesi che lo accusano di aver ispirato le teorie nazionaliste, come Denis Mack Smith. Eppure, se noi vogliamo capire Mazzini nella sua autentica purezza, dobbiamo rifarci al conte di Metternich, che lo descrisse come il problema più serio incrociato sul suo cammino di restauratore, perché Mazzini fu essenzialmente un rivoluzionario. Vicino alla Rivoluzione francese, eppure enormemente distante. "La Repubblica non si impone con le baionette", frase diretta alla Francia giacobina, potrebbe essere usata dai pacifisti nostrani. Ma Mazzini non fu affatto un pacifista, perché sostenne la necessità di combattere con il popolo in armi contro ogni dispotismo. Bisogna però fare attenzione. Dopo la battaglia di porta San Pacrazio, quando Garibaldi volle inseguire l’esercito francese in rotta per decimarlo, Mazzini gli chiese di rinunciare. Non volle inimicarsi la Francia con un inutile spargimento di sangue. Sbagliò. Perché le file dell’esercito francese si riorganizzarono e il governo repubblicano dovette lasciare Roma. Mazzini vi rimase e le cronache lo descrivono come un fantasma vagante per le strade in cerca della bella morte, che nessuno per fortuna ritenne di dovergli dare. Mazzini appartenne in tutto e per tutto all’epoca romantica e ciò fece sì che egli abbia saputo infiammare i cuori di tre generazioni che lottarono per l’Unità d’Italia. Se la sconfitta della Repubblica romana fu tale da abbattere i più entusiastici impeti di conquista democratica, Mazzini non si diede per vinto. Si riprese, tornò in esilio e ricominciò a tramare: una spedizione in Veneto, un’altra in Sicilia. I rapporti con Garibaldi precipitarono, ma quando, dopo Aspromonte Garibaldi giunge ospite a Londra all’apice della sua fama, vuole Mazzini alla sua tavola per indicarlo come colui che solo aveva fatto ardere la fiamma della libertà dell’Italia oppressa. Lo scrittore Giancarlo De Cataldo ha definito, nel suo ultimo lavoro, "I Traditori", Mazzini e i mazziniani come gli elementi "più puri" del Risorgimento. Salvo alcune eccezioni, il giudizio è esatto. Mazzini non riuscì mai nelle imprese tentate, ma il suo spirito indomito rimase punto di riferimento per l’ideale unitario. Egli fu sempre convinto della necessità dell’unità d’Italia, come nessun altro. E’ storicamente provato che l’operato e l’azione diplomatica di Cavour siano stati più cogenti e abbiano così saputo e potuto ottenere i successi che sappiamo. Ne era convinto anche uno storico come Rosario Romeo, ma ancora adesso non possiamo nasconderci che Cavour aveva pur sempre in mente l’Italia come un Regno di Sardegna più importante e più grande. Mazzini infatti fu subito deluso dalla liberazione di Roma. Non era la sua Italia, quella ottenuta sulla debolezza della Francia e il compromesso con il papato. La figura di Giuseppe Mazzini rimase dunque sempre quella di un perseguitato, prima in carcere a Gaeta, poi gli ultimi mesi di vita a Pisa, nascosto dietro un’identità inglese. In sintesi, per Mazzini vale quello che Giovanni Bovio fece incidere su una targa marmorea in Castelfidardo: "Giuseppe Mazzini, povero, contristato, schernito sognatore tollera questi onori postumi. I soli consentiti dal destino ai Maestri". |